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I Visionari

20/05/2013 Massimo Bonfatti
Il prof. Paolo Scampa ed io, che abbiamo risollevato - il primo aprile scorso - il problema dell'incidente nucleare dimenticato di Rovello Porro, probabilmente siamo stati bollati, nella migliore delle ipotesi, come "visionari". Paolo ed io abbiamo avuto due modi diversi, ma complementari, nell'affrontare il problema: Paolo più da "scienziato", io più da "cittadino".

 

Il prof. Paolo Scampa ed io, che abbiamo risollevato – il primo aprile scorso - il problema dell’ “incidente nucleare” dimenticato di Rovello Porro (vedi http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=2101),

 

probabilmente siamo stati bollati, nella migliore delle ipotesi, come “visionari”. Paolo ed io abbiamo avuto due modi diversi, ma complementari, nell’affrontare il problema: Paolo più da “scienziato”, io più da “cittadino”. Queste individuali caratteristiche hanno rappresentato solo un aspetto di prevalenza, in quanto nessuno dei due ha smesso questa duplice veste in tutta la ricerca condotta sul caso. Una ricerca che è stata metodica e metodologica sulle fonti, nell’analisi dei pochi dati presenti in rete e altrove, nelle proiezioni e nei calcoli: l’argomento è stato affrontato e sviscerato con il massimo rigore scientifico concesso dai dati a disposizione. Come “cittadino” ho imparato che ogni questione che riguarda il nucleare si porta dietro un carico non indifferente di menzogne, censure o, nei casi più democratici, minimizzazioni.
Me lo hanno insegnato i miei innumerevoli viaggi nelle zone contaminate dal fallout di Chernobyl, me lo hanno insegnato i mie amici giapponesi, ma – soprattutto – è confermato dall’iniquo accordo WHA 12-40 del 28 maggio 1959 ancora in vigore, sottoscritto fra l’OMS e l’AIEA (http://www.mondoincammino.org/index.php?name=formhumus): secondo questo patto scellerato nessun dato sanitario riguardante le popolazioni sottoposte a fallout radioattivo può essere reso pubblico senza il permesso preventivo dell’AIEA. Da allora la censura è sempre stata la regola: così per Chernobyl (vedi la censura della conferenza internazionale OMS convocata dal dr. Hiroshi Nakajima – direttore generale dell’OMS - a Ginevra nel novembre 1995 o la falsa mappa sul fallout di Chernobyl in Bielorussia scoperta dal prof. Bandazhevsky), così per   Three Mile Island, così per Fukushima. E così vale anche per Rovello Porro. In tutti questi anni il “sistema AIEA” ha inevitabilmente contagiato i processi, assurti a “scientifici”, dei vari enti di ricerca e di controllo sulle emissioni radioattive.

Stesso ragionamento per quelli italiani: sono diventati (inconsapevoli o meno,  a seconda del ruolo svolto) esecutori e portavoce di questo sistema imperante La verità dell’AIEA è diventa verità assoluta in campo nucleare ed è diventata talmente consolidata che è difficile contrastarla (e, in parte lo dimostra la denuncia di Paolo e mia): dal poligono di Semipalatinsk a Mayak i posti più contaminati del pianeta dove “Mondo in cammino” è attualmente presente con “Rotta nucleare” (http://www.mondoincammino.org/rottanucleare.php) , fino ai casi meno eclatanti: tutti improntati al nascondimento o, laddove non possibile, alla minimizzazione del rischio (come pare essere il caso di Rovello Porro).


Riguardo al caso in questione (e tutti le fonti lo riportano) passarono 15 mesi prima che fosse denunciato, benchè alcuni ne fossero a conoscenza (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/05/20/cesio-nel-torrente-enel-gia-sapeva.html).  E, ancora oggi, nessun magistrato ha ritenuto opportuno intervenire!


In questo costante sforzo e ricerca nel suffragare con dati  la denuncia di Paolo e mia, ieri sono incappato nel seguente documento: seduta del 3 dicembre 1997 della 12.ma Commissione Permanente (Igiene e Sanità): “Indagine conoscitiva sullo sviluppo di patologie ad eziologia ambientale e sulla tutela della salute pubblica nelle aree ad inquinamento ambientale diffuso” (http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/17083.pdf). In questo documento viene citato il caso di Rovello Porro. Il fatto che il caso sia inserito in una relazione che parla di “inquinamento ambientale diffuso” è una risposta “indiretta”, ma chiara, alle preoccupazioni sollevate da Paolo e dal sottoscritto.

Nel testo viene riportato: “Questa proposta è stata elaborata dal Ministero della sanità con l’aiuto, non solo dell’Istituto superiore di sanità, ma anche di tutte le strutture nazionali e locali che in questi anni si sono occupate del problema. Riteniamo fondamentale che tale decreto trovi applicazione. Infatti, possono verificarsi nuovamente casi di contaminazione gravi come quello verificatosi qualche anno fa in Lombardia, quando ci si accorse della contaminazione solo dopo che essa era arrivata nel Po, ben a valle della fonderia considerata. Quando poi si è risaliti ad una fabbrica di Rovello Porro ci si è resi conto che la contaminazione si era ormai diffusa non solo nel prodotto finito ma in tutta la fabbrica e l’ambiente circostante. In quell’occasione lo Stato si assunse tutto il peso economico della decontaminazione; è chiaro però che questa situazione non può protrarsi nel tempo. Il costo di lavorazioni realizzate con materiali potenzialmente pericolosi non può e non deve essere sostenuto dai cittadini”.


Penso che ogni commento sia superfluo, ma la coscienza e la responsabilità di “cittadino” precedentemente ricordata, mi impongono di ribadire alcune riflessioni, a rischio di rasentare l’ovvietà:


1. anche presso la “Commissione Igiene e Sanità” viene riconfermata la scoperta del “caso” Rovello Porro a distanza temporale dalla sua insorgenza (contaminazione scoperta solo “dopo che essa era arrivata nel Po”);


2. l’evento viene classificato”grave” in quanto inserito nei “casi di contaminazione gravi”;


3. il testo recita: “la contaminazione si era diffusa non solo nel prodotto finito, ma in tutta la fabbrica e l’ambiente circostante”. Questo passaggio è importante e mi fa porre le seguenti domande:  “Nei 15 mesi prima della scoperta dove è andato a finire il prodotto finito “contaminato”? Forse nei telai delle auto prodotte all’Alfa Romeo? E poi? Se così: chi ha avuto contatti con il prodotto finito “contaminato”? (operai? compratori?). E nelle eventuali successive fasi di rottamazione che ne è stato? Che cosa si intende per contaminazione dell’ambiente circostante? Fino a che limite si può definire che l’ambiente non sia più circostante? Si parla di decontaminazione: quali i dati sulla contaminazione e chi finalmente dirà a quanti Curie di Cesio 137 corrispondeva la sorgente accidentalmente fusa?


Strano che il caso di Rovello Porro sia citato, da tutte le fonti, come emblematico; altrettanto strano però che vi sia sempre una sorta di circospezione: non saltano mai fuori i “numeri”, i “dati certi”.


Le ipotesi possono essere, a mio avviso, solo due:

- o si è verificato, nel tempo, un clamoroso caso di omesso o insufficiente controllo radiologico ambientale (come parrebbe essere prassi abituale così come evocato dal recente caso dei “cinghiali radioattivi”), per cui diventa inevitabile  e “doveroso” affidarsi a un basso profilo

- o si tratta di omessa pubblicizzazione di dati di fronte a un caso grave, per di più con il peccato originale di una omertà iniziale che non si è stati in grado di gestire.



Forse continuerò (assieme a Paolo) ad essere visionario, ma penso che non sia più nostro dovere civico supportare - con passione e ostinazione - la nostra denuncia con elementi e dati inoppugnabili, ma che sia, invece, un dovere di responsabilità pubblica, da parte delle autorità competenti, rendere conto con dati certi di cosa sia veramente successo.


Speriamo di esserci sbagliati, ma a 50 giorni di distanza dalla denuncia, la mancanza di numeri (a parte le inevitabili rassicurazioni o i retorici slogan da parte di alcuni amministratori) ci inquieta e, ancora di più, ci addolora il fatto che non si possa/riesca ad intervenire per bloccare, laddove possibile, quella catena di diffusione che, se non smentita dai dati, parrebbe essersi propagata da allora (e, ancora, ci fa riflettere il caso dei cinghiali radioattivi a ben  27 anni dal fallout di Chernobyl!).

 

Non si tratta di procurare allarme nella popolazione, ma di “proteggerla” il più possibile, sapendo che ora il problema prioritario non è (per quanto sia necessario e per quanto dovrebbe seguire il suo corso, cosa che a noi non compete) additare a pregresse o attuali  responsabilità, ma la messa in atto – il più precocemente possibile - di un sistema di controllo tramite soggetti indipendenti e di una prevenzione terziaria in grado di limitare le conseguenze e di fare crescere una maggiore consapevolezza civica sulle più semplici raccomandazioni da seguire in campo radiologico. E non è una cosa difficile e complessa: quindi, non allarme, ma responsabilità!


Se il silenzio sembra, in parte, rassicurante, la mancanza di verità è, invece, un delitto. La verità può essere difficile da digerire e scomoda, ma farla venire fuori è sempre un bene per evitare il reiterarsi di fatti pericolosi e scampare future tragedie (solo oggi, per esempio, dopo i soliti silenzi e grazie ai soliti “indagatori”, è venuto fuori il caso tedesco - del primo maggio scorso - riguardante il mercantile Atlantic Cartier (http://www.lastampa.it/2013/05/17/scienza/ambiente/germania-amburgo-catastrofe-sfiorata-fuoco-su-nave-con-uranio-TFdjxtfeeDT1UzrT02aiZP/pagina.html): sarebbe stato un’ecatombe! Se i fatti sfiorano solo la cronaca, o se sono taciuti o sottodimensionati o resi compiacentemente o con  ignoranza tranquillizzanti,  o se apparentemente non ci toccano, non vuole dire che non ci riguardano! ).

 

Diceva Bertolt Brecht: “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”.


Massimo Bonfatti
Presidente di Mondo in cammino
www.mondoincammino.org

 

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